Geologia di Aci Castello
Il castello di Aci Castello è eretto su un promontorio di basalto, formato da colate laviche submarine (pillow lava) datate a circa 500.000 anni fa.
Questa formazione basaltica è avvolta da una colata lavica di periodo preistorico che era stata erroneamente attribuita all’eruzione del 1169.
La località di Aci Castello era sicuramente apprezzata per la sua posizione strategica sin dall’epoca greca, nonostante non si siano conservati resti importanti di strutture relative a tali periodi (a causa probabilmente della distruzione operata dagli Arabi, di cui parleremo tra poco).
Era infatti possibile sorvegliare il mare e monitorare il traffico navale diretto verso lo stretto di Messina e non solo.
Abbiamo il ricordo di famose battaglie navali in questa zona, come quella tra Imilcone e Leptine, raccontata da Diodoro Siculo. Anche i rinvenimenti archeologici sottomarini, esposti oggi nel Museo Civico del castello, attestano l’antica frequentazione di questi luoghi.
Le origini del castello risalgono al VII secolo (o al VI), quando fu costruito dai bizantini sopra una struttura romana, forse risalente al 38 d.C.
Venne denominato Castrum Jacis, con lo scopo di proteggere la popolazione dalle incursioni nemiche.
L’arrivo degli arabi
L’arrivo degli arabi fu segnato da un periodo sanguinoso di guerre e distruzioni, devastazioni documentate dagli stessi storici arabi.
Durante l’estate del 902, l’emiro Ibrahim II si apprestava a lanciare un attacco contro il castello di Aci.
Ciò avvenne in seguito alla distruzione e alla presa di Taormina nell’ambito della conquista della Sicilia da parte del Califfato musulmano.
Anticipando una sicura sconfitta, gli abitanti decisero di arrendersi, accettando di pagare la jiziah (una tassa) e di disarmarsi, consegnandosi così ai musulmani. Sebbene il paese fosse risparmiato, il castello e le sue difese furono completamente demoliti.
Rimane incerta la decisione del Califfo Al Moez, che nel 909 avrebbe potuto ordinare la costruzione di una nuova struttura difensiva (kalat) sulla stessa rupe.
Tale struttura era destinata a inserirsi in un sistema difensivo più ampio per la salvaguardia della comunità di Aci (Al-Yag).
Sotto la dominazione araba il borgo fu chiamato ‘Al-Yâg o Lî-Yâg.
I normanni arrivano ad Aci Castello
Siamo adesso tra il 1071 e il 1081, durante la conquista normanna dell’isola ad opera di Roberto il Guiscardo e Ruggero d’Altavilla.
È in questo periodo che si collocherebbe l’edificazione del castello, ancor oggi accessibile ai visitatori.
Il castello fu in seguito concesso ai vescovi di Catania nel 1092 (ad Angerio da Sant’Eufemia). Tale concessione rimarrà fino al 1239.
Proprio qui, nel 1126, ricevettero le sacre reliquie di Sant’Agata, riportate in patria dalla città di Costantinopoli dai cavalieri Gisliberto e Goselmo.
Sono ancora visibili i resti di un affresco che ricorda appunto la consegna delle sacre reliquie della Santa al vescovo Maurizio.
Il 4 febbraio 1169, la Sicilia orientale fu colpita da uno dei più devastanti terremoti nella storia di Catania. A seguito di ciò, una parte degli abitanti fu indotta a trasferirsi.
Nel 1239 il vescovo Gualtiero di Palearia fu rimosso dal suo incarico da Federico II di Svevia e il castello entrò a far parte del demanio imperiale.
Solo durante il breve periodo angioino il castello tornò ai vescovi di Catania.
Aragonesi contro Angioini
Dal tardo XIII secolo il castello fu al centro delle prolungate ostilità tra gli Aragonesi di Sicilia e gli Angioini di Napoli.
In questo contesto, Federico III d’Aragona, sovrano di Sicilia, sottrasse il territorio di Aci e il suo castello al controllo dei vescovi di Catania.
Tale controllo fu assegnato all’ammiraglio Ruggero di Lauria in riconoscimento delle sue valorose azioni militari.
La concessione prevedeva che il giorno di Sant’Agata venisse pagato un canone di 30 once d’oro al vescovo, cosa che poi in effetti non avvenne.
Dopo alcuni anni, quando Ruggero di Lauria passò con gli angioini contro la corte aragonese e il territorio di Aci sostenne gli Angioini, all’interno del castello si rifugiarono i ribelli.
Di conseguenza, nel 1297, il re Federico III lo fece espugnare costruendo una terra mobile in legno, “Cicogna“, per agevolarvi l’ingresso.
Nel 1320, per volontà di Federico III, i territori di Aci furono assegnati a Blasco d’Alagona e, in seguito, passarono al suo successore, Artale I.
Ancora intemperie per Aci Castello
Un devastante terremoto, nel 1329, accompagnato da un’eruzione dell’Etna, colpì duramente il territorio di Aci. In seguito a questi eventi, si procedette alla ricostruzione dell’area più a nord, dando vita a “Aquilia Nuova” (che sarebbe diventata l’odierna Acireale), denominata così per distinguerla dall’antico insediamento, che da quel momento venne chiamato “la Vetere”.
Niccolò Cesareo, governatore di Messina, a seguito di contrasti con il condottiero Artale I di Alagona, richiese l’intervento di Luigi d’Angiò nel 1356.
Quest’ultimo inviò il maresciallo Acciaiuoli, lo stesso che aveva conquistato il castello due anni prima, nel 1354.
Grazie al supporto di cinque galee, le truppe angioine saccheggiarono nuovamente il territorio di Aci, assediando il castello e avanzando successivamente verso Catania per assediarla.
Tuttavia, Artale I Alagona non solo respinse l’attacco ma anche contrattaccò con la flotta siciliano-aragonese, mettendo in fuga le forze angioine e riconquistando il castello.
La battaglia navale, combattuta tra la borgata di Ognina e il castello di Aci, nota come “lo scacco di Ognina“, rappresentò un momento decisivo a favore degli aragonesi nella guerra dei Vespri siciliani.
Gli Aragonesi dopo la vittoria
Nel 1396, durante l’assenza di Artale II d’Alagona, il castello passò sotto il controllo di Martino il Giovane, nipote di Pietro IV di Aragona.
Dopo aver sposato nel 1391 la regina Maria, ultima erede al trono aragonese di Sicilia, Martino approdò sull’isola e approfittò dell’assenza di Artale II per assediare e conquistare il castello, guastando il sistema di approvvigionamento idrico del castello.
Nel 1398, re Martino il Giovane ottenne dal Parlamento generale di Siracusa una dichiarazione secondo cui le terre acesi dovevano permanentemente appartenere al demanio regio.
L’intento era di impedire che ricadessero sotto il controllo dei baroni e per sostenere lo sviluppo delle varie comunità che formavano l’Università delle Aci.
L’anno successivo, nel 1399, al territorio fu concesso un privilegio di esenzione dalle dogane.
Martino trasformò il castello in sua residenza permanente dopo il matrimonio con Bianca di Navarra nel 1402, mentre il borgo contava 2400 abitanti. Durante questi anni, il castello visse un breve ma ricco periodo di fasto, caratterizzato da celebrazioni e ricevimenti.
Alla morte di re Martino, Bianca fu nominata vicaria di Sicilia da Martino II, il successore di Martino il Giovane, e in questa veste trasferì il castello a Ferdinando il Giusto di Castiglia, che assunse il trono di Sicilia nel 1412 diventandone il nuovo monarca.
Aci Castello durante i viceré
Nel 1416, sotto la guida di Giovanni di Castiglia, il primo viceré di Sicilia, furono intrapresi lavori di ammodernamento del castello, con un investimento di 20 onze d’oro dedicato alle ristrutturazioni.
Successivamente, nel 1421, il viceré Ferdinando Velasquez prese possesso del castello e del feudo di Aci, acquistandoli per 10.000 fiorini da re Alfonso il Magnanimo, causando notevole scontento tra la popolazione locale.
Per placare tale scontento, nel 1422, su istruzione di Alfonso il Magnanimo, Velasquez istituì una fiera esente da dazi, nota come Fiera Franca, che acquisì grande rilevanza.
Dopo la morte di Velasquez, il castello ritornò a far parte dei possedimenti reali sotto il regno di Alfonso, che in seguito lo trasferì al suo segretario, Giambattista Platamone.
Alla morte di Alfonso, Giovanni II d’Aragona rivendicò il castello per la corona, assegnandolo a Sancio, discendente della famiglia Platamone.
Sancio, tuttavia, si oppose alla restituzione del castello, che fu quindi rapidamente assediato e conquistato. Sancio e suo figlio furono imprigionati nel Castello Ursino a Catania, dove entrambi trovarono la morte.
Nel corso del XVI secolo, il castello cambiò più volte proprietà tra privati.
Diventò una base per una guarnigione incaricata di avvistare e segnalare eventuali minacce dal mare alle comunità dell’entroterra e alle altre fortificazioni lungo la costa.
Parallelamente, il castello fungeva anche da carcere, e ci sono documentazioni riguardo le condizioni disumane in cui i prigionieri erano detenuti, molti dei quali morivano di fame nelle celle.
L’indipendenza
Il 28 agosto 1528, per sottrarsi al dominio dei baroni e rientrare sotto la diretta autorità regia, la comunità offrì all’imperatore Carlo V una somma di 20.000 fiorini. L’imperatore accolse questa proposta il 5 luglio 1530, concedendo loro il diritto di mero et misto impero e rinnovando il privilegio della Fiera Franca.
Contestualmente, l’imperatore Carlo V dichiarò il territorio di Aci indipendente da qualsiasi forma di vassallaggio, promuovendola a Comune in cambio di un pagamento sostanzioso di 72.000 fiorini.
Fu dunque affidato a don Vincenzo Gravina il compito di creare lo stemma della città, che è rimasto invariato fino ai giorni nostri. Questo stendardo era conservato all’interno del castello e veniva esposto pubblicamente durante la celebrazione della festa patronale.
Nel sigillo dell’istituita universitas reale, il castello di Aci divenne il simbolo principale, affiancato dai faraglioni di Aci Trezza.
A partire dalla metà del XVI secolo, l'”Università di Aci” cessò di esistere: il castello si separò effettivamente da Aquilia Nuova e dai vari casali, che nel frattempo avevano acquisito l’indipendenza.
Di conseguenza, il castello fu inizialmente trasformato in una caserma e successivamente adibito a carcere.
XVII secolo
Nel seicento il castello conobbe un rinnovato splendore, dovuto anche alla radicale opera di ristrutturazione (e implementazione dell’artiglieria) voluta nel 1634 dal re Filippo III.
Nel 1647 il castello venne venduto da re Filippo IV di Spagna a Giovanni Andrea Massa, che lo pagò 7.500 scudi.
Il disastroso terremoto che sconvolse la Sicilia orientale nel 1693 recò al castello ingenti danni, che furono tuttavia riparati negli anni successivi dai discendenti del Massa.
XVIII e XIX secolo
Una delle poche informazioni in merito a questo periodo racconta una leggenda.
Un umile cacciatore, che un giorno si trovava a caccia nei dintorni del castello, abbia accidentalmente ucciso una gazza appartenente al governatore del castello, noto per la sua ferocia. A seguito di ciò, il cacciatore fu arrestato e rinchiuso nelle prigioni del castello, dove trascorse ben 13 anni.
Un giorno, venuto a conoscenza dell’imminente visita del Duca Massa, signore del castello, il cacciatore gli dedicò un canto di benvenuto. Sentita la melodia, il duca chiese di incontrarlo e, una volta ascoltata la sua sfortunata vicenda, ordinò immediatamente il suo rilascio.
Nel XIX secolo il castello entrò a far parte del Demanio Comunale, ma nel 1818 un terremoto provocò nuovamente danni così gravi che esso non poté più essere utilizzato come prigione.
Durante questo periodo, il castello fornì a Giovanni Verga l’ispirazione per la sua novella “Le stoffe del Castello di Trezza”, una storia ricca di amore, tradimenti e apparizioni, che racconta le avventure avvincenti di don Garzia e donna Violante.
XX secolo
Nel XX secolo divenne deposito di masserizie e durante la seconda guerra mondiale una grotta della rupe venne usata come rifugio antiaereo.
Dal 1985 nasce un museo all’interno del castello, con l’attivazione di varie iniziative culturali quali esposizioni, conferenze, tour guidati, concerti, e l’analisi di reperti paleontologici e archeologici.
Il castello ha progressivamente iniziato a rivestire la forma e il ruolo consoni a un edificio di rilevante valore storico e architettonico. Si è trasformato da semplice reliquia del passato a fulcro di un dinamico e costante scambio culturale tra il presente e la storia.
Architettura Odierna
Il castello è posizionato su un promontorio di roccia lavica, affacciandosi direttamente su un mare di colore blu cobalto e raggiungibile solo tramite una scalinata costruita in muratura.
Un tempo, un ponte levatoio in legno, oggi scomparso, facilitava l’ingresso attraverso parte di questa scalinata. All’interno della roccaforte spicca il «donjon», una torre quadrangolare che costituisce il nucleo centrale del maniero.
Si conservano solo alcune delle strutture originarie: l’entrata con vestigia del meccanismo del ponte levatoio, il cortile con un piccolo giardino botanico, vari locali, inclusi quelli che ospitano il museo e una cappella che alcuni ritengono di origine bizantina, oltre a una spaziosa terrazza panoramica che si affaccia sul golfo.
Il 23 maggio 2012, il comune di Aci Castello ha dedicato una sala del Castello a Jean Calogero (1922-2001), un artista di fama internazionale le cui opere hanno promosso i paesaggi siciliani e, in particolare, quelli di Aci Castello.
La “Sala Jean Calogero”, precedentemente conosciuta come “Cappella bizantina”, esporrà permanentemente tre sue opere a olio: “Riviera dei Ciclopi” (120×95 cm, 1967), “Aci Trezza” (102×71 cm, 1991) e “Aci Castello” (60×130 cm, 1967), donate dalla sua famiglia al comune. Questi dipinti esaltano il territorio, arricchendo il castello di ulteriore valore culturale, artistico e turistico.
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