La chiesa di san Benedetto è tra le chiese più belle di Catania, definita dagli esperti “Cappella Sistina catanese” grazie alle spettacolari pitture che la impreziosiscono realizzati intorno al 1726 dal maestro messinese Giovanni Tuccari.
Cenni storici
Il Monastero “San Benedetto” di Catania risale al 1334, un sogno forgiato dall’altruismo di Alemanna Lumello.
A causa del terreno insalubre, però, la residenza delle monache subì successivi spostamenti.
Il monastero ha danzato attraverso Catania, dal “Pozzo degli Albani” fino alla Cattedrale. Riposando, infine, nel 1355 nell’abbraccio della casa del Conte Adrani, accanto la chiesa dei Gesuiti. In questo luogo, un tempo, sorgeva il tempio di Esculapio.
Il 1693 portò con sé un abbraccio mortale – un terremoto devastante che cancellò Catania, piegando anche il monastero e la chiesa di San Benedetto sotto il suo peso. Nel caos, don Giuseppe Cilestri divenne faro per le monache sopravvissute, tessendo speranza in mezzo alle rovine del cataclisma.
Tra le macerie, cinque monache lottarono cercando di salvare ciò che di sacro potevano. Alimentarono la fiamma della rinascita con la vendita dei beni immobili del monastero.
La Badia Grande, prima del devastante terremoto del Val di Noto nel 1693, troneggiava come fulcro dell’istituzione. La Badia Piccola, nata dalle fondamenta del “Monastero di Santa Maddalena”, oggi trasformata in un crocevia di cultura, ospita il Museo di arte contemporanea della Sicilia.
La rinascita seguita alla fine del XVII secolo ha fuso la Badia Piccola nell’abbraccio della città, con l’erezione dell’arco di via Crociferi nel 1704. Questa struttura, divenuta con il fluire degli anni un emblema della città, segna ora l’ingresso a un’intera via, tessendo una storia di resilienza e rinnovamento nel tessuto urbano.
Costruzione della chiesa di san Benedetto
Sotto la direzione di Giuseppe Palazzotto, il 18 giugno 1708, iniziò un nuovo capitolo.
Un ventennio di lavoro svelò, nel 1728, una chiesa rivestita di magnificenza e splendore. Un omaggio alla città di Catania.
Erigendo nel cuore del ‘700, l’anima della chiesa prendeva forma dalle visioni di Alonzo Di Benedetto – architetto della maestosa facciata.
Sotto le sue volte, danzavano i colori degli incantevoli affreschi di Giovanni Tuccari tra il 1726 e il 1729.
Il tempo vide poi Antonino Battaglia avvolgere questa meraviglia in un manto di intonaco bianco, inseguendo la sobrietà e moda del nuovo secolo.
La facciata della chiesa di san Benedetto
Conclusa nel 1747, come svela l’architrave della porta principale, la facciata si erge maestosa. Accolta da una scalinata in pietra lavica e da una cancellata in ferro battuto, opera d’arte del 1832, si adorna di figure e dello stemma di San Benedetto. La sua forma semicircolare accoglie lo sguardo, mentre la pietra calcarea di Priolo si staglia fieramente verso l’oriente, elevandosi in un trionfo verticale.
È possibile individuare in essa due ordini sormontati da un timpano triangolare con loggiato. Il primo ordine è abbellito da quattro gruppi di semicolonne con capitello corinzio e dalla presenza di due grandi statue anch’esse in pietra calcarea. La statua di destra è un’allegoria dell’“intelletto”, quella di sinistra del “timor di Dio”.
Sotto queste statue vi sono scolpiti dei pannelli contenenti anch’essi motivi allegorici: a destra un braccio corazzato con la scritta ope victrices (vincitrici per operosità) e a sinistra due mani che stringono un fascio di verghe e la parola unitas (unità).
Il centro del secondo ordine è una nicchia, coronata da un timpano frammentato che eco del portale sottostante, abbracciando la statua dell’Immacolata. Sul frontone troneggia il busto di San Benedetto, anima della chiesa, mentre al vertice del timpano, una croce in ferro segna il cielo.
Al cuore della facciata, un portale artistico in legno, decorato con formelle e bassorilievi del 1713, racconta storie di San Benedetto, intagliate da mani anonime ma cariche di maestria.
La rinascita della volta
Il 1866 si segnò come anno di svolta nella storia della Chiesa, un periodo di agitazione dovuto a leggi radicali nate dall’anticlericalismo in crescita. Ciò portò alla chiusura di molti monasteri e conventi nel nascente Regno d’Italia e alla confisca dei beni ecclesiastici dal governo.
Anche Catania assistette impotente alla scomparsa di numerose dimore sacre, nonostante la resistenza eroica del cardinale Giuseppe Benedetto Dusmet non fosse bastata a scongiurare tali perdite.
Solo pochi monasteri, in particolare quelli femminili, protrassero la loro esistenza. Il monastero di San Benedetto fu uno di questi e resistette nel tempo.
Nel 1943, un bombardamento aprì una ferita nella volta, squarciando l’intonaco bianco che per oltre un secolo aveva nascosto gli affreschi sottostanti, rendendo possibile, dal 1948, il loro meticoloso restauro.
Grazie all’intervento dell’architetto Armando Dillon nel dopoguerra, infatti, possiamo ammirare nuovamente la chiesa nel suo splendore originario del Settecento.
Breve descrizione degli interni
Varcando il portone centrale, si è accolti da un’atmosfera di meraviglia artistica nel vestibolo. Qui, una scala a tenaglia, interrotta da un pianerottolo ellittico, si offre allo sguardo. Sulle balaustre, otto angeli in stucco, vestiti di un velo marmoreo creato da Nicolò Mignemi.
Oltrepassata l’entrata, si dispiega l’interno luminoso della chiesa, abbracciato dalla luce che filtra attraverso otto grandi finestre e arricchito da tocchi dorati. La chiesa si sviluppa in una navata unica, priva di transetto, un’espressione pura di spazio sacro.
Ai lati si presentano quattro altari in marmo cipollino rosso scuro, gioielli del tardo XVIII secolo. Tra di essi si alternano quattro consolle di marmi pregiati, impreziosite da mensole e testine scolpite.
Menzione particolare meritano l’affresco del martirio di san Placido, di ignoto pittore locale e quello del martirio di sant’Agata, anch’esso opera di ignoto, risalente al 1726.
Da menzionare anche le tela di Matteo Desiderato, realizzata nel 1780, raffigurante Tobiolo e l’angelo, detta degli Arcangeli. Di fronte ad essa abbiamo la tela coeva dell’Immacolata eseguita dal pittore catanese Sebastiano Lo Monaco.
Sull’altare laterale sinistro, avvicinandosi al presbiterio, si eleva un crocifisso di valore, adagiato su un pannello incorniciato e avvolto in ardesia.
Di fronte, abbellito da una cornice vivacizzata da putti, l’altare custodisce l’opera che ritrae San Benedetto nell’istante in cui invia San Placido in Sicilia, un capolavoro commissionato nel 1858 al pittore Michele Rapisardi.
L’opera, martoriata dai bombardamenti, è stata prontamente rianimata dalle cure del prof. Giovanni Nicolosi.
Il pavimento in marmo policromo intarsiato è databile intorno al 1683 e, quindi, precedente al terremoto.
L’altare
Nel cuore della chiesa, l’altare maggiore si impone, preceduto da tre scalini in un marmo verde scuro di Carrara, frutto dell’ingegno dei fratelli Marino, che hanno plasmato anche la predella marmorea con intarsi di grappoli d’uva e viticci.
Colpisce immediatamente la nobiltà dei marmi selezionati: agata, il verde di Polcevera, e le robuste pietre di Palermo, mentre l’argento aggiunge un tocco di raffinatezza con i suoi bassorilievi.
Una porta del ciborio nasconde un delicato lavoro di cesello di Bonaventura Caruso del 1789, che ritrae un re Davide in danza.
Dominando l’altare, un tronetto con corona attende il Santissimo Sacramento, opera di Salvatore Mignemi, affiancato da anfore in marmo e bronzo, eco dello stile impero. Sopra, una raggiera in stucco dorato celebra l’Agnello immolato, circondato da putti giocosi.
Volta della chiesa di san Benedetto
Quattro sono gli episodi della vita di Benedetto affrescati ai lati della volta della chiesa di san Benedetto: san Benedetto accoglie i piccoli Mauro e Placido, san Benedetto riceve l’omaggio del re Totila, il miracolo della falce e l’abbattimento degli idoli pagani.
Al centro della volta, l’affresco si divide in tre cappelli di grandezza e forma diverse, ognuno narrando una fase distinta della vita e dell’eternità di San Benedetto.
Nel primo, lo vediamo elevarsi verso il cielo, un momento di trionfo spirituale.
Lo scomparto centrale, il più vasto, celebra l’apoteosi del Santo, un’esplosione di gloria celestiale.
Verso l’altare maggiore, l’ultimo scomparto cattura il momento solenne in cui San Benedetto morente riceve il viatico, l’ultima comunione.
Sulle pareti, sopra le finestre della navata, sei lunette ospitano le virtù, dipinte con grazia allegorica: a sinistra, le virtù teologali – Fede, Speranza, e Carità; a destra, quelle cardinali – Prudenza, Fortezza, e Temperanza.
Ogni virtù, una guida luminosa nel cammino dell’anima.
Accanto alle sei finestre, le figure maestose dei dodici apostoli vegliano, pilastri e fondamento immortale della Chiesa.
Ogni scena è abbracciata da una cornice barocca di decorazioni: ghirlande fiorite, rami d’olivo, conchiglie, e angeli, un delizioso intreccio di natura e divinità.
L’apice di questo viaggio celestiale si trova nella calotta absidale, dove l’affresco dell’Incoronazione della Vergine Maria sfoggia una festa di angeli, un coro di gioia e bellezza.
Nella quiete della lunetta absidale, si svela l’Adorazione dell’Agnello, un affresco che, benché distinto dal tocco di Tuccari, si lega armoniosamente alla narrazione celeste dell’intera chiesa.
Qui, l’agnello, simbolo di vittoria e sacrificio, guida una processione di martiri verso l’eternità. Tra le figure che lo osannano, spicca Sant’Agata, martire e protettrice, riconoscibile dalla tenaglia che stringe, segno del suo sacrificio.
Accanto a Lei, monache benedettine, simboli viventi di una battaglia spirituale quotidiana contro le passioni, suggellano con la loro presenza il concetto di martirio in chiave monastica, una vittoria interiore ricca di significato.
Ai vertici della volta, nei quattro pennacchi, si ergono le Virtù che guidano la vita delle monache: Castità, Obbedienza, Povertà e Preghiera.
Ogni virtù, un pilastro su cui si fonda l’esistenza monastica, è rappresentata come faro di guida per chi sceglie un cammino di dedizione totale alla spiritualità, un invito a riflettere sulle profonde radici di fede che alimentano la comunità monastica.
Per leggere altri articoli, clicca qui.